Nuovi dati a conferma dell’efficacia della meditazione nel contrastare efficacemente il
rimuginio
come stile di pensiero negativo e ricorrente e nel migliorare le capacità di gestire le eccessive preoccupazioni per il futuro.
Grazie alle tecniche di meditazione sarebbe dunque più facile
riuscire a concentrarsi sul momento presente.
La conferma di questo
dato, già noto nella letteratura scientifica di riferimento, ci arriva
da uno studio di un gruppo di ricerca del Department of Psychiatry della
Yale University School of Medicine. Il contributo di questa ricerca sta
nell’aver identificato che attraverso alcune tecniche di meditazione è possibile “spegnere” una specifica area del cervello, indicata nello studio come Default Mode Network, considerato come motore
automatico interno in grado di generare quel continuo emergere di idee e
pensieri che in un qualche modo interferiscono con ciò che in quel
momento si sta facendo.
Quest’attività di produzione automatica dei pensieri è presente per
circa la metà del tempo della veglia, e può portare alla luce ricordi
spiacevoli e contribuire al nascere di preoccupazioni per il futuro,
creando così uno stato di
ansia e di depressione nella persona che in un qualche modo è vittima del suo stesso pensare.
Nello studio sono state prese in considerazione tre diverse tecniche di meditazione:
1. CONCENTRAZIONE: il razionale di questa tecnica è
che il praticante deve concentrarsi sul respiro, sentendo l’aria che
entra e che esce dal naso, percependo la pancia che si riempie e si
svuota, e ogni qual volta che si presenta un pensiero con fermezza deve
lasciarlo andare distogliendo l’attenzione da esso.
2. AMARE-GENTILEZZA: in questa tecnica il praticante
deve ricordare e visualizzare una situazione nella quale ha desiderato
il bene di qualcuno per lui significativo e lo utilizzerà per desiderare
per estensione il bene degli altri.
3. CONSAPEVOLEZZA: questa tecnica consiste nel
prestare attenzione momento per momento a quello che sta succedendo, a
quello che arriva alla coscienza del praticante stesso, senza tentare di
modificare il pensiero o la sensazione appena arrivata ma semplicemente
accettandola.
Il campione di questo studio sono stati 12 praticanti esperti
che sono stati confrontati tramite Risonanza Magnetica Funzionale con 13
soggetti volontari che non hanno mai avuto esperienza di meditazione.
Lo studio ha messo in luce tramite la risonanza magnetica funzionale che i
soggetti esperti sono in grado di “spegnere” l’attività delle aree
cerebrali comprese nel Default Mode Network, come la corteccia cingolata
e la corteccia prefrontale mediale. Ma non solo rispetto alle
persone non dedite alle pratiche meditative gli esperti mostrano
un’attività della DMN ridotta anche fuori dalla pratica stessa come se
“l’allenamento” portasse i suoi effetti benefici anche fuori dalla
pratica in sé. Uno degli aspetti che viene messo in luce in questo
studio a favore della meditazione è il suo essere di basso costo e
facilmente accessibile per un grande numero di persone.
Brewer sottolinea poi a conclusione del suo lavoro che nonostante siano necessari altri studi prospettici, i risultati di questo studio aprono interessanti scenari per l’uso della meditazione nel trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione. Inoltre un’ iperattivazione della DMN è stata riscontrata anche in pazienti affetti da Alzheimer
e potrebbe essere responsabile della deposizione nelle cellule
cerebrali di una sostanza chimica, beta-amiloide, tipica di questa forma
di demenza. L’uso di tecniche meditative potrebbe spegnere questa attivazione e quindi avere un possibile effetto “protettivo”.
Fonte: www.stateofmind.it