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Bambini iper-protetti, adulti fragili

Bambini iper-protetti, adulti fragiliMolti genitori privano i figli della possibilità di misurarsi con il rischio, fisico ed emotivo. Ma qual è un sano limite fra supervisione e controllo?



Gli americani li chiamano “helicopter parents”. Sono quei genitori che, silenziosamente, sorvegliano a distanza i loro figli, quando giocano, quando interagiscono con gli altri, quando scelgono cosa mettersi al mattino. Sono quelli che, se ci guardiamo sinceramente allo specchio, abbiamo molte probabilità di vedere riflessi. «Siamo diventati così ossessionati con la sicurezza che, di base, priviamo i nostri figli della possibilità di assumersi dei rischi e di farci i conti, a livello fisico ed emotivo», ha spiegato a Pbs Hanna Rosin, autrice di un articolo sui bambini iper-protetti, apparso recentemente su The Atlantic. Rosin sottolinea l’incredibile cambiamento avvenuto nell’ultima generazione: «Comportamenti considerati paranoici negli anni Settanta, come accompagnare bambini di terza elementare a scuola o proibire di giocare a palla per strada, sono oggi la norma. Anzi, sono considerati un segno di genitorialità responsabile».

La misura di un atteggiamento iperprotettivo si può leggere in quello spazio di libertà per eccellenza che è il gioco. Un recente studio della Ucla, per esempio, certifica che i figli delle famiglie medie di Los Angeles passano il 90% del tempo libero in casa, impegnati in attività come guardare la tv, giocare ai video game e usare il computer. All’aperto, gli spazi giochi per bambini sono soffici, colorati, omogeneizzati e prevedibili, ma anche privi di ogni sfida. A Wrexham, nel Galles del nord, “The Land” fa eccezione, perché è un caleidoscopio di materiali di recupero. «In questo spazio, i bambini non devono conformarsi al senso dell’ordine degli adulti, ma possono modificare tutto quello che vogliono. Non c’è un valore monetario legato ai materiali, i bambini possono costruire e distruggere e il gioco che ne risulta è una co-creazione», racconta Claire Griffiths, manager di The Land, recentemente premiato fra i migliori parco giochi del Regno Unito dalla Sport and Recreation Alliance. The Land, inoltre, non è pensato per separare i bambini in base all’età: «Una fra le maggiori soddisfazioni è vedere i bambini arrivare da soli e sviluppare in pochi giorni un network di amici», aggiunge Griffiths, cosa che non sempre si può dire dei nostri spazi di gioco in città che tendono a segmentare fra piccoli e grandi e non facilitano gli scambi.

Sei comportamenti irresistibili
L’approccio che annulla il rischio, in realtà, non è privo di contro-indicazioni. Secondo Ellen Sandseter, professore di educazione della prima infanzia al Queen Maud University College di Trondheim, in Norvegia, i bambini hanno un bisogno sensorio di sperimentare il pericolo e l’eccitazione conseguente. «Non si tratta di cose pericolose in sé - premette l’esperta -, piuttosto di esperienze che dal punto di vista dei piccoli sembrano pericolose». Autrice del saggio “I giochi rischiosi dei bambini da un punto di vista evolutivo: l’effetto anti-fobico delle esperienze eccitanti”, Sandseter evidenzia sei comportamenti “rischiosi” che esercitano grande fascino sui nostri figli, la loro possibile funzione e il conseguente effetto antifobico. Per esempio: andare veloci aiuta a sviluppare la percezione spaziale e ridimensiona la paura di fare i conti con le proprie emozioni. Gli altri comportamenti irresistibili sono: misurarsi con le altezze, maneggiare attrezzi; stare vicini a forze della natura, come l’acqua, il fuoco o un precipizio; giocare a fare la lotta ed esplorare un territorio da soli. Come scriveva lo storico olandese Johan Huizinga, “il gioco serve a qualcosa che non è il gioco” e affrontare un ostacolo che, dal proprio punto di vista, appare rischioso e superarlo, permette ai bambini di costruire coraggio e sicurezza in se stessi. «Pur senza volerlo, genitori eccessivamente presenti e protettivi producono bambini e ragazzi che fanno molta fatica a percepirsi e pensarsi come persone autonome, con caratteristiche e confini propri», fa notare Francesca Broccoli, psicologa e psicoterapeuta.

Privare i bambini della possibilità di mettersi in gioco (nel gioco) può avere conseguenze a lungo termine: «I bambini che non hanno potuto sperimentare, conoscere se stessi e i propri limiti saranno persone fragili, con scarsa stima di sè. Ricordiamoci, infatti, che essere sempre protetti significa essere svalutati e non riconosciuti mai come adeguati, capaci e competenti», prosegue Broccoli. Questa fragilità si potrà esprimere tramite comportamenti di passività, insicurezza, dipendenza, oblatività, ma anche attraverso ripetuti insuccessi, rabbia, atteggiamenti sfidanti e provocatori, incapacità di tollerare qualsiasi frustrazione. Alla fine, quando dalla supervisione si passa al controllo, il risultato è qualcosa che non fa bene nemmeno alle mamme. Una ricerca dalla University of Mary Washington pubblicata nel Journal of Child and Family Studies, infatti, ha evidenziato come una maternità “intensiva” – fatta di stimoli costanti e incapacità di delegare la supervisione dei figli – si traduca in un sovraccarico psicologico che impatta sulla salute mentale delle mamme. «Il suggerimento più importante che posso dare ai genitori è quello di fidarsi dei propri figli, del fatto che non si faranno deliberatamente del male e dal fatto che devono sperimentare il rischio per superarlo», conclude Griffiths.


Fonte: http://d.repubblica.it