Google+ Il sesso in Rete. Il rischio reale dell’era virtuale

Il sesso in Rete. Il rischio reale dell’era virtuale

Il sesso in Rete. Il rischio reale dell’era virtuale
Pensare di unire la sessualità con il mondo virtuale fa emergere una forte dissonanza sia in termini cognitivi che emotivi. L’esperienza erotico-sessuale rimanda alla corporeità, all’unione e al contatto, l’esperienza virtuale invece alla lontananza, alla finzione e ad una grande immaginazione.


Paradossalmente, la sessualità e il mondo virtuale si trovano ad essere in stretto contatto molto più di quanto pensiamo, specialmente in questi ultimi anni dove il consumo e la fruizione di materiale on-line (anche a sfondo sessuale) sta crescendo a dismisura, grazie alla possibilità di utilizzare pc, tablet e smartphone in ogni angolo delle nostre città, evenienza che può accadere sia in una condizione di attesa (autobus, studio medico), sia in uno stato di movimento (treno, aereo). 
Connettere, dal latino connexus, significa unire insieme, intrecciare, congiungere. 
Relazione invece, deriva dal latino relatio-onis, e ancor prima da relatus, racchiude i significati di riferire, portare all’indietro. Relazione riguarda quindi sia l’azione di riferire (in maniera orale o scritta) qualcosa a qualcuno (ad es. fare/presentare una relazione), ma anche e soprattutto la “connessione che intercorre tra due o più enti (oggetti e fatti, situazioni e attività). Con riferimento a persone o a gruppi, come rapporto, legame o vincolo reciproco: avere una r. sentimentale, amorosa, intima, sessuale, adulterina con qualcuno o con qualcuna, avere una r. con un uomo, con una donna, avere rapporti abituali sessuali e sentimentali: da quella r. è nato un figlio” (Treccani.it).
Appare dunque singolare come la parola connessione (sfera virtuale) rimandi ad un’idea di intimità (sfera affettiva/sessuale), mentre viceversa la parola relazione (sfera sessuo-affettiva) abbia un’accezione più improntata al “collegamento” (sfera virtuale). In tal senso sembra appropriata l’annotazione di Bauman (2003), il quale afferma che, anziché riferire le proprie esperienze in termini di rapporti e relazioni, gli uomini e le donne parlano sempre più spesso di “connessioni, connettersi ed essere connessi” e che piuttosto che parlare di partner preferiscono parlare di “reti” (networks). Questo perché il concetto stesso di relazione implica un impegno, mentre la rete indica un contesto nel quale è possibile entrare ed uscire con la stessa facilità, “in una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte a proprio piacimento. […] 
A differenza delle relazioni vere, le relazioni virtuali sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare. Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all’inerzia e alla pesantezza di quelle vere” (Bauman, 2003). L’Autore introduce quindi il concetto di una società “liquida”, dove i rapporti tra le persone diventano mobili, flebili, impalpabili. Le reti intese come social networks vanno quindi a colmare “la mancanza del sistema di protezione che le reti reali di parentela, amicizia, fratellanza fornivano concretamente, con o senza i nostri sforzi. Le rubriche dei cellulari sostituiscono la comunità mancante e fanno le veci (o almeno si spera) dell’intimità mancante: portano un carico di aspettative che non hanno neanche la forza di sostenere, figuriamoci di mantenere” (Bauman, 2003). Una Rete quindi che viene utilizzata come strumento per attutire l’angoscia data dalla mancanza dei rapporti reali, ma nei cui nodi si rischia di rimanere completamente impigliati. In tal senso le potenzialità degli strumenti tecnologici si integrano perfettamente con le difficoltà individuali e con quelle di espressione degli stati emotivi che alcune persone possono manifestare, come accade ad esempio negli stati alessitimici, nelle forme di compulsione e nei disturbi narcisistici ed evitanti di personalità (Zerbini e Zoccarato, 2014). La “trappola” della Rete può dunque scattare sia per i “nativi digitali” (Prensky, 2001; Parsi et al., 2009; Ferri, 2011), ovvero la generazione di chi è nato e cresciuto insieme alla diffusione delle nuove tecnologie, sia per gli “immigrati digitali” (Prensky, 2001), tutte le altre persone che, quando questi dispositivi si sono diffusi, erano già adulte e che quindi hanno mostrato una maggiore difficoltà ad integrare ed utilizzare il linguaggio introdotto dai nuovi mezzi di comunicazione.

Corpi sessuati tra reale e virtuale
La diffusione delle nuove tecnologie sta quindi portando a riconsiderare e delineare i confini che intercorrono tra uso ed abuso dei suddetti dispositivi. Già vent’anni fa nel contesto anglosassone si parlava di “dipendenze tecnologiche” (Griffiths, 1995), ovvero delle eccessive interazioni uomo-macchina, ma l’inarrestabile espansione dei mezzi tecnologici in tutto il mondo sta contribuendo alla creazione di modalità comportamentali simili anche all’interno di contesti culturali diversi tra loro. 
Una ricerca condotta in Kuwait (Sultan, 2014) mostra come possa essere messo in atto un uso smodato persino di Whatsapp, una delle applicazioni di messaggistica istantanea che può essere utilizzata gratuitamente anche quando ci si trova all’estero. Il 33% degli intervistati ha infatti dichiarato di utilizzare l’applicazione fino a 12 volte in un’ora ed il 53% ha asserito di percepirsi dipendente o comunque non ha escluso di avere sviluppato una forma di “tecno-dipendenza”. I principali motivi riferiti dai 552 intervistati, sono stati la ricerca di contatti sociali, il divertimento e la ricezione di informazioni. È importante sottolineare come di recente sia stato coniato un nuovo vocabolo, la nomophobia (neologismo che lega i termini no mobile, senza telefono e phobia, paura), che descrive l’incontrollata ansia/preoccupazione di rimanere senza il cellulare (o senza batteria) e di sentirsi di conseguenza tagliati fuori dal mondo. Le dinamiche della dipendenza da smartphone sono del tutto simili a quelle che riguardano la dipendenza da sostanze. Si parla quindi di: craving, la “fame” di essere sempre connessi e la ricerca spasmodica del cellulare per controllare le notifiche; assuefazione, dove i momenti spesi con i dispositivi elettronici non sono mai abbastanza e si devono investire sempre maggiori quantità di tempo ed energie nel contatto con loro; infine astinenza, dove si iniziano a sviluppare nervosismo, stati di ansia e di agitazione se c’è una separazione forzata dallo smartphone. 
Non a caso la mobile addiction rientra nel novero delle new addictions, ovvero quelle dipendenze comportamentali nelle quali non viene assunta nessuna sostanza chimica ma l’oggetto della dipendenza è costituito da un comportamento o un’attività socialmente accettata. Nel corso degli ultimi anni “si è verificata la proliferazione delle dipendenze senza sostanze stupefacenti da oggetti o attività legali. 
La dipendenza legale non chimica è uno dei massimi rappresentanti della psicopatologia moderna e postmoderna. Il cibo, il sesso, gli acquisti, il gioco, il lavoro e la televisione in particolar modo sono elementi legalizzati dalla società che, talvolta, con una frequenza irregolare, smettono di svolgere il loro ruolo sociale per schiavizzare l’essere umano” (Alonso-Fernandez, 1996). A sostegno dell’analogia tra dipendenze comportamentali e tossicodipendenze, si verificano non di rado fenomeni di poli-dipendenza (compresenza di una o più dipendenze nella stessa persona) e di cross-dipendenza (passaggio nel corso dell’arco di vita da una dipendenza all’altra) (Griffiths, 2002; Couyoumdjian et al., 2006). 
Questo accadrebbe perché l’innovazione tecnologica e la società generano da un lato stress, vuoto e noia, mentre dall’altro stimolano la tendenza all’immediata gratificazione (Alonso-Fernandez, 1996). In tal senso, dal recente rapporto del progetto europeo “Net Children Go Mobile” (Mascheroni e Ólafsson, 2014), che ha visto coinvolti 3500 ragazzi tra 9 e 16 anni di sette differenti paesi (Italia, Danimarca, Romania, Regno Unito, Belgio, Irlanda e Portogallo), emerge che i soggetti intervistati abbiano dichiarato di provare particolari sensazioni, tra cui: il sentirsi in dovere di essere sempre raggiungibili, il forte bisogno di controllare il cellulare e la presenza di disagio nell’eventualità in cui non sia possibile usufruire dello smartphone in caso di mancanza di campo o di batteria scarica. 
L’età di contatto con il mondo virtuale nel corso degli ultimi anni si sta abbassando sempre di più (Livingstone et al., 2011) ed è possibile vedere come mediamente i ragazzi usino Internet per la prima volta intorno agli 8.5 anni, possiedano un cellulare verso i 9.5 e ricevano lo smartphone a 12 (Mascheroni e Ólafsson, 2014). Questo dato permette di capire come un contatto precoce con la sfera virtuale contribuisca a far sì che le nuove e giovani generazioni utilizzino Internet e i dispositivi elettronici come una parte importante delle loro interazioni e sperimentazioni sessuali (Lenhart, 2009; Livingstone et al., 2011). Un fenomeno che si sta ampiamente diffondendo a livello sociale è il sexting, neologismo comparso nel 2005 per descrivere l’unione tra sex (sesso) e texting (inviare sms) ed esprime quel connubio tra corporeità e virtualità che coinvolge immagini sessualmente suggestive e mobile media (Chalfen, 2009; Mitchell et al., 2012). Il sexting rappresenta quindi la pratica di inviare o postare messaggi di testo e immagini sessualmente espliciti, incluse fotografie di nudo o semi-nudo tramite telefoni cellulari o Internet (Levick e Moon, 2010). 
Nell’Indagine conoscitiva sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia promossa da Telefono Azzurro ed Eurispes (2014) sono stati analizzati 1.100 questionari per l’infanzia (7-11 anni) e 1.523 per l’adolescenza (12-18 anni) ed è emerso che oltre un adolescente italiano su quattro (25,9%) afferma di aver ricevuto sms, mms o video a sfondo sessuale. I dati confermano che tra i giovanissimi l’esperienza del sexting non rappresenta un’eccezione, ma è invece piuttosto comune. In un anno (dal 2011 al 2012) si è passati già dal 10,2% al 25,9% e con l’aumentare dell’età anagrafica cresce anche la percentuale di ragazzi che hanno sperimentato il sexting come destinatari: dal 22,5% dei 12-15enni si passa al 30,3% dei 16-18enni, quasi un ragazzo su tre. La quota più alta degli adolescenti che riferisce di aver ricevuto messaggi, foto o video con contenuto sessuale indica come mittente un amico/a (38,6%), seguono un 27,1% che ha ricevuto questi messaggi dal proprio partner, un 22,7% che li ha ricevuti da una persona estranea, il 9,9%, infine, da un conoscente. I ragazzi riferiscono di essere stati coinvolti nel sexting soprattutto da amiche/amici (44%); il 24,6% da parte del partner, il 19% da una persona estranea, il 10,7% da un/una conoscente. Le reazioni degli adolescenti intervistati alla ricezione di invio o filmati a sfondo pornografico sono prevalentemente positive. Il 30,1% dice che gli ha fatto piacere, il 29,1% che lo ha divertito. Le reazioni negative ammontano complessivamente al 23,1%, quindi poco meno di un caso su quattro: il 10,7% si è sentito infastidito, il 6,6% imbarazzato, il 2,9% spaventato ed il 2,9% angosciato. Il 16% è invece rimasto indifferente. Il 41,9% di chi ha messo in pratica il sexting riferisce di averlo fatto perché non vede cosa ci sia di male in questa azione. Più della restante metà del campione si divide su risposte eterogenee: il 16,1% dice di averlo fatto con il proprio partner, di cui si fida, l’11,1% dice di averlo fatto per fare uno scherzo, l’8,3% per emulazione rispetto ai propri amici, il 4,6% per provocare/mettere in imbarazzo. Solo l’1,8% rivela intenzioni più malevole, dicendo che voleva che la persona in foto o nel video fosse presa in giro da tutti, mentre pochissimi hanno cercato di far colpo in questo modo su una persona (0,9%). Un preoccupante 2,3% ammette di averlo fatto in cambio di soldi o di una ricarica telefonica, lo 0,9% perché sotto minaccia. 
In uno studio americano (Lenhart, 2009) sono stati identificati tre scenari di base rispetto al sexting, dove lo scambio di immagini sessuali può avvenire come 1) parte della sperimentazione dell’identità ed intimità sessuale degli adolescenti quando non sono ancora sessualmente attivi; 2) tra due partner romantici, come parte di una relazione sessuale; 3) come un preludio di una attività sessuale, tra amici che non hanno ancora una relazione ufficiale ma nella quale almeno uno dei due spera di rimanere sentimentalmente coinvolto. Il sexting può avere anche delle conseguenze problematiche e può trasformarsi in una esperienza scioccante o problematica per alcuni adolescenti. 
Alcune ricerche hanno dimostrato che lo scambio di immagini, messaggi o inviti sessuali espliciti è collegato con molestie e prepotenze, fino a condurre a forme di “cyberbullismo sessuale” (Kofoed, Ringrose, 2012; Ringrose et al., 2012). L’esposizione di adolescenti prematuri a modelli pornografici facilmente accessibili attraverso Internet può condurre ad un comportamento eccessivo, che può avere un impatto nocivo sulla vita reale (Fabrizi e Simonelli, 2013), fino a sviluppare, nei casi più gravi, comportamenti e caratteristiche tipici della dipendenza sessuale (Quattrini e Spaccarotella, 2009, 2010, 2013; Quattrini et al., 2012, 2014). 
Nel contesto descritto, l’elemento sacrificato sull’altare dell’era virtuale è quindi il corpo. Dove non c’è relazione, non c’è corporeità. La relazione “indiretta”, ovvero mediata dai supporti tecnologici, sottrae tempo alla relazione “corpo a corpo” (Zerbini e Zoccarato, 2014) e permette alla stessa persona di sentirsi connessa a più persone contemporaneamente, senza essere realmente in relazione con nessuna. Oggigiorno il corpo sembra diventato un ostacolo, un ingombro, un oggetto imbarazzante che può essere bypassato tramite la tecnologia. Pensiamo all’utilizzo dei social networks dove è possibile iniziare a conversare senza essere mai entrati in contatto con le foto o le immagini del nostro interlocutore, ma anche all’impiego della webcam durante una chat, dove il corpo dell’Altro è rappresentato e visualizzabile ma senza che ci sia la possibilità di percepirne l’odore o il contatto epidermico. Il supporto tecnologico azzera le distanze, facendo percepire “gli altri” molto vicini, ma in realtà tenendo tutti a distanza di sicurezza. Un corpo ridotto ad un’idea di presenza. Una diade dove gli attori in gioco sono visibili ma non presenti, connessi ma mai in relazione. 
L’essere simultaneamente “ovunque ma da nessuna parte” sta cambiando anche la modalità con cui le persone si percepiscono nella realtà, meccanismo che colpisce in particolar modo quelle persone che si stanno costruendo un’identità o che ne possiedono una molto labile. Soprattutto in adolescenza la presenza di Internet e smartphone può avere delle ripercussioni importanti, dal momento che, in una fase fondamentale come quella della strutturazione del Sé, il soggetto può crearsi un’identità parallela (Ferraris e Malavasi, 2001) o vivere uno sdoppiamento inquietante (Ferraris, 2002). L’incontro virtuale rimpiazza dunque quello fisico-reale, con conseguenze molto dannose, infatti “lì dove era il corpo a dare con la sua materialità i segni per decifrare la qualità dei messaggi e degli intermediari, oggi nella maggior parte degli scambi la vastità delle possibili intenzioni comunicative subisce un forte livello di depauperamento. A testimoniarlo, per esempio, la pervasiva adozione del linguaggio iconico nei messaggi brevi (sms) e nei post: le emoticons sono ora i “volti” con cui interpretare la ricchezza e le sfumature che si celano dietro al nostro emittente, le sue interpunzioni e i suoi sospiri” (Zerbini e Zoccarato, 2014). Parliamo quindi di un corpo che ha bisogno di sentirsi raggiungibile, accessibile, ma che allo stesso tempo teme l’Altro, che va tenuto a debita distanza di sicurezza, e che può essere allontanato da sé semplicemente disconnettendosi. 
Il corpo che viaggia sui binari sociali e mass-mediatici dell’immagine è quindi un corpo sotto pressione, costantemente sotto la lente d’ingrandimento del giudizio altrui. Uomini e donne sembrano essere sempre più impegnati nella ricerca o nell’ossessione di un corpo perfetto, di una bellezza senza sbavature, senza difetti. La piccola imperfezione cambia forma e passa da segno distintivo a segno da cancellare. L’ideale di perfezione tranquillizza, appare come l’unico riparo dalla possibilità di essere criticati dagli altri. Ciò che viene perseguito attraverso la perfezione appare l’ottenimento dell’accettazione degli altri, ma il costo per la sua conquista è la standardizzazione della propria individualità, estetica e caratteriale. In un mondo dove si percepisce di non poter cambiare quasi nulla, il corpo assume la valenza di uno spazio di libertà, dove è possibile intervenire e trasformarsi. Il corpo che prima costituiva la nostra forma di contatto col mondo assume improvvisamente le vesti di biglietto da visita. Corpo che ora viene “narcisisticamente” fotografato e riproposto attraverso scatti pubblicati in continuazione su social networks come Twitter ed Instagram. Un corpo proposto intero o spesso parcellizato (si pensi all’avvento di piattaforme fotografiche come Asstagram/Boobstagram o la moda degli scatti alle gambe o ai piedi in riva al mare) in foto che appaiono perlopiù tentativi di ricordare agli altri la propria presenza nel mondo. I “like” sembrano rappresentare ed essere diventati la cartina tornasole del proprio valore personale. In tale contesto diventa quindi ancora più importante fare appello alle proprie risorse e alla capacità di “guardarsi” allo specchio in maniera equilibrata. Riflettere sul personale modo di vivere e vedere il proprio corpo, di comprendere le origini delle proprie insicurezze, di colmare i propri vuoti, di valorizzare la propria diversità (ed individuazione) e di accettarsi per come si è fatti, costituisce sicuramente un buon viatico ed esercizio nella creazione di una salda autostima personale.


Conclusioni
Parlare di mobile addiction può rappresentare un argomento scomodo. Questo perché la comunicazione tramite cellulari è diventata spesso una condizione data per scontata della nostra ecologia sociale (Ling, 2012): essere accessibili per i nostri amici e genitori non è solo parte delle aspettative sociali che ci formiamo l’uno dell’altro, ma ci informa anche del nostro senso di sicurezza personale. 
Come le ricerche sulla comunicazione hanno dimostrato, non presumiamo che il “contatto perenne” (Katz e Aakhus, 2002) sia di per sé positivo o poco problematico, piuttosto può condurre ad una dipendenza eccessiva e ad un sentimento di “intrappolamento” (Hall e Baym, 2012). Si è dunque passati dall’intimità all’extimità (termine comparso in Lacan, 1969), ovvero quella ininterrotta esternazione dei propri sentimenti e della propria sessualità (Pasini, 2009), fino ad arrivare al “desiderio di extimità” (Tisseron 2001, 2008), il rendere pubblici aspetti personali e segreti di sé per farli conoscere e convalidare dal proprio gruppo di appartenenza tramite la condivisione on-line. 
L’avvento dei social networks ha dato sicuramente la possibilità di riflettere e ragionare sulla già complessa interazione tra sesso, erotismo ed amore (Paz, 1993), tre parenti stretti che “sono collegati e tuttavia separati” (Bauman, 2001). I dispositivi elettronici sono diventati il fulcro di tutte le possibili interazioni da intrattenere durante l’arco della giornata. 
La relazione con lo smartphone ha sostituito quelle reali, il virtuale è divenuto il luogo delle relazioni verosimili: “l’avvento della prossimità virtuale rende le connessioni umane al contempo più frequenti e più superficiali, più intense e più brevi. Le connessioni tendono ad essere troppo superficiali e brevi per condensarsi in legami. […] Occorre meno tempo e fatica tanto per creare contatti quanto per romperli. La distanza non è un ostacolo al tenersi in contatto – ma il tenersi in contatto non è un ostacolo all’essere distanti. Gli spazi della prossimità virtuale terminano, idealmente, senza strascichi e residui permanenti. La prossimità virtuale può essere interrotta, sia concretamente che metaforicamente: basta premere un pulsante” (Bauman, 2003). 
Si ha paura di essere soli senza la connessione per poi accorgersi che la vera solitudine è rappresentata dall’incapacità di intrattenere una vera relazione umana basata sul contatto, sull’interazione e sulla sana comunicazione a due.
Connessi con tutti, in relazione con nessuno.