Facebook,
Twitter e le altre comunità virtuali hanno rivoluzionato le
relazioni nella società, ma in psicologia e sociologia gli studi non
confermano i timori dei più critici. Se esistono dei rischi
concreti, soprattutto per gli adolescenti, d'altra parte le reti di
rapporti e amicizia nate sul web fungono oggi più come valvola di
sfogo per difficoltà preesistenti legate alla vita reale
Oltre
un miliardo gli utenti mensili attivi su Facebook in tutto il mondo,
25 milioni italiani di cui 19 on
line ogni
giorno (dati Facebook, 2014). Milioni di nuovi followers ogni mese
per Twitter. Sono questi i social
network più
visitati al mondo. Spazi, piazze virtuali di incontro nelle quali ci
si frequenta, si condividono esperienze, si scambiano pensieri, si
creano nuovi orizzonti. Luoghi virtuali che influiscono in modo
profondo sul nostro modo di essere e sulle nostre relazioni. Dove
tutti siamo interconnessi, come singoli neuroni di un unico cervello
globale. Strumenti straordinari che rispondono in modo suggestivo ma
non del tutto soddisfacente, a bisogni psicologici profondi irrisolti
nella nostra cultura, quello di connettersi, far parte di una
comunità, "vivere in tribù". Che stanno rivoluzionando il
modo di stare con gli altri e con noi stessi, lanciandoci in un'altra
dimensione, un avatar affascinante
e fagocitante, che alimenta il senso di onnipotenza. Con effetti
profondi e a volte insidiosi sulla nostra psiche.
Una
palestra per il narcisismo. Sembra,
ad esempio, che i social possano servire da palestra per esercizi di
narcisismo. Contesti nei quali mostrarsi con l'illusione che altri
possano interessarsi ai dettagli della nostra quotidianità. Studi
delle Università del Michigan e dell'Illinois hanno dimostrato una
correlazione positiva tra utilizzo di Facebook o Twitter e livelli di
narcisismo. In particolare, i "Mi piace" e i "Retweet"
risultano rassicuranti, regalando un senso di importanza anche se
provengono da persone sconosciute. Una ricerca dell'Università
della Georgia,
pubblicata sulla rivista Computers
in human behavior,
suggerisce inoltre che i social
network influiscano
sulla nostra autostima e in una certa misura riflettono e amplificano
i tratti narcisistici, l'ossessione di Sé, perché, nonostante il
nome - in italiano reti sociali, appunto - l'attività degli utenti è
soprattutto autoreferenziale. Anche l'ansia sembra correlarsi
all'utilizzo di Facebook.
Possono
creare 'dipendenza'. La
ricerca ad oggi non supporta del tutto i timori che ruotano attorno a
questi nuovi mezzi di comunicazione. Che creino inevitabilmente
dipendenza, distruggano empatia e abilità sociali o che ci
trasformino tutti in narcisisti. Però ci avverte che sono in grado
di sopraffarci, sottrarci alla realtà e allontanarci da modi più
"veri", analogici e creativi di fare esperienza, pensare,
emozionarsi, connettersi agli altri e a noi stessi. Con esiti a volte
preoccupanti. Di fatto i contesti di socialità che le nuove
tecnologie offrono sono rivelatori, e non causa, dei nostri disagi.
Non inventano nuove patologie, piuttosto danno sfogo, potenziandole a
volte, a parti complicate di noi. Inadeguatezze, esibizionismo,
mancanza di autostima, incapacità relazionali, rabbia, aggressività,
bisogno di controllo. Sono molte le fragilità che convogliano nella
Rete.
Adolescenti
più vulnerabili. I social possono
facilitare i contatti, ma anche rendere vulnerabili, soprattutto in
adolescenza. La vetrina Facebook può diventare la versione online
dello spogliatoio, del corridoio della scuola dove circolano battute
divertenti, ma anche cattive. Per chi non sa mettere parola e non ha
appoggio dagli altri, Facebook può rappresentare solo un altro posto
dove stare male.
Le
persone molto popolari in rete, d'altro canto, possono compensare
così l'incapacità di realizzare il loro carisma nella vita reale.
Come evidenziano alcuni dati, avere molti amici così come averne
pochi, non è ben visto però dal popolo Facebook: 300 è il numero
ritenuto opportuno. Gli italiani vantano in bacheca il maggior numero
di amici tra tutti gli utenti delle altre nazionalità, appunto 300
in media. Siamo più socievoli o, forse, più superficiali nella cura
dei rapporti interpersonali. Non si sa.
Relazioni
spontanee e meno impegnative. Sicuramente
il contesto virtuale rende più liberi di sperimentare relazioni
spontanee, destrutturate, meno impegnative. Soprattutto per i giovani
può diventare il modo per svincolarsi dal controllo, un mezzo per
superare quell'isolamento sociale che spesso sono gli adulti a
costruire loro intorno. Come spiega la ricercatrice dell'Università
di Harvard, Danah Boyd, nel suo libro "It's
complicated. The social lives of networked teens"
pubblicato a febbraio 2014 negli Stati Uniti, ci sono miti da sfatare
sulla vita dei "ragazzi connessi", come l'assuefazione e
l'isolamento provocati dalla Rete. La studiosa sottolinea che la
semplice esistenza delle nuove tecnologie non crea né risolve
magicamente i problemi culturali.
Una
maggiore libertà. Del
resto, come sostengono alcuni studiosi, i social offrono anche chance
positive alla nostra identità. Perché tutti abbiamo bisogno di
sfuggire da immagini di sé rigide, simulando ulteriori modi di
essere, lontani (ma non così tanto...) da noi. Sperimentare
possibilità esistenziali, esplorare e fantasticare in modo
informale, gestire parti separate di noi al di là del proprio sé
prestabilito. E in questo senso, forse, il mondo virtuale non è
finzione, ma immaginario.
Il
problema del furto di identità. Eppure,
allo stesso tempo, ci costruiamo versioni convenzionali delle nostre
identità che non esprimono veramente chi siamo, ma come vorremmo
essere. Che raccolgono 'Mi piace', ma perdono in unicità,
particolarità, individualità. Recenti ricerche rivelano inoltre che
il "furto di identità" in rete riguarda milioni di persone
l'anno, anche questo rivela la fragilità del nostro essere on -
eoff - line.
A volte l'entrata nei social
network altera
il modo di stare in famiglia o in coppia dal vivo. Non è raro
rimanere imbrigliati in rapporti virtuali, venir emotivamente o
sessualmente coinvolti da qualcuno a cui siamo "collegati".
Un'indagine svolta sugli utenti Twitter negli Usa dimostra che l'uso
massiccio di questo social è legato a difficoltà relazionali.
Addirittura separazioni e divorzi. Probabilmente il social
rappresenta solo una fuga da relazioni infelici, non la causa ma la
conseguenza delle difficoltà di coppia. Ma questi dati evidenziano
lo spazio che concediamo alle nuove comunità sociali virtuali nella
nostra vita anche a livello intimo.