Lo stato di disoccupazione,
di inoccupazione può essere definito come quel fenomeno che riguarda
gli individui che, pur essendo potenzialmente attivi, non svolgono
attività lavorativa. È necessario tener presente che non esiste un modo
univoco di vivere la disoccupazione, ma esistono “tante disoccupazioni”
ognuna legata agli eventi di vita e agli aspetti psicologici, personali e
caratteriali di ognuno (Depolo, Sarchielli, 1998).
Perdere l’occupazione è come perdere il
vestito che si porta abitualmente e ciò impone alle persone molte
riflessioni: sulla propria situazione presente, sul perché di tale
perdita, su a chi attribuirne le colpe, sugli scenari futuri, sulla
propria vita e sulle certezze costruite; tutto ciò può provocare una
spirale di disorientamento e disagio
generale in quanto tocca gli aspetti più profondi di significato e di
senso che strutturano l’individuo. Gli studi sulla disoccupazione
evidenziano come il disagio, conseguente la perdita e la precarietà del
lavoro, generi nell’individuo un circolo vizioso fatto di tentativi
falliti che vanno a confermare il senso di inadeguatezza. La perdita
delle proprie certezze causa un progressivo isolamento sociale e una
sempre più evidente tensione nei rapporti familiari.
Il lavoro è primariamente una fonte di
guadagno, ma non solo, su di esso si fondano la costruzione
dell’identità, dell’autostima e la progettazione del futuro. Sarebbe
superficiale considerarlo un mero mezzo di sostentamento, esso
rappresenta molto di più, ed è proprio per questo che la sua perdita non
provoca solo danni a livello economico, ma anche a livello
psicosociale.
Il vissuto personale del disoccupato è
correlato al sistema rappresentazionale interno ed esterno a cui
appartiene. I vari insiemi di rappresentazioni vengono organizzati per
formare le specifiche “culture della disoccupazione” e successivamente
utilizzati per dare significato all’esperienza e per strutturare le
strategie per affrontarla. Gli altri saranno quindi, per il disoccupato e
per il lavoratore precario, lo specchio che rimanda la propria
immagine: perdente oppure degna comunque di rispetto anche se in
situazione di difficoltà; da ciò dipenderà il vissuto e il differente
livello di disagio esperito.
La perdita del lavoro può essere
definita una “transizione non-anticipata” e la mancata preparazione
all’evento può avere un impatto potenzialmente negativo sul benessere
psicofisico della persona (Schlossberg, 1981). Il disagio può sfociare
in disturbi psichici, indurre e/o sostenere dipendenze patologiche
(soprattutto alcool e gioco patologico) ma può anche interessare il
corpo, attraverso manifestazioni psicosomatiche. Le strategie di coping
utilizzate da chi il lavoro non ce l’ha, molto spesso, risultano essere
disadattive, tese a proteggere l’autostima, possono comportare
distorcimenti nella lettura della realtà e conseguenti comportamenti
inadeguati al contesto.
Lo svolgere un’occupazione ha anche la
funzione di facilitare gli individui nella strutturazione temporale. Chi
perde il lavoro sarà privato di uno dei fondamentali sistemi di
regolazione, organizzazione e dotazione di senso del tempo.
L’atteggiamento psichico del disoccupato può comportare inoltre
isolamento, conseguente al ritiro da tutte le situazioni sociali e
familiari in cui può presentarsi la necessità di confronto con gli
altri.
L’attività lavorativa rappresenta,
quindi, una rete che avvolge il lavoratore strutturando il suo tempo, il
suo ruolo sociale e la sua identità.
Con l’aggravarsi della crisi
è l’aumento vertiginoso del numero dei disoccupati, inoccupati e dei
percettori di ammortizzatori sociali in diverse realtà italiane sono
sorti una serie di servizi per tutelare direttamente o indirettamente la
condizione di salute
delle persone in stato di crisi lavorativa. La Regione Piemonte ha
stanziato nel biennio 2010-2012 circa 50.000.000 euro con il “Progetto
Crisi” con la finalità di dare una copertura economica attraverso la
cassa integrazione
in deroga e un supporto professionale psicologico/orientativo
attraverso delle attività a cui i lavoratori erano tenuti a partecipare:
bilanci di competenze, orientamento individuale, di gruppo e formazione
professionale. In parallelo a questi interventi sono nati degli
sportelli di supporto psicologico come servizio di prevenzione e
supporto per persone che vivono una condizione di “Crisi” lavorativa.
Tra gli sportelli che sono sorti nel
territorio italiano è di rilevanza regionale sottolineare l’esperienza
piemontese dello sportello “Insieme per il Lavoro”. Un progetto che
nasce dalla sensibilità della Direzione Generale dell’aslto5, ad un
concetto di salute in linea con quanto affermato dall’O.M.S.
(Organizzazione Mondiale della Sanità) nella Dichiarazione Universale di
Alma Ata sull’Assistenza Sanitaria Primaria (Alma Ata, USSR 6-12
Settembre 1978 ) e cioè: “che la salute è uno stato di completo
benessere fisico mentale e sociale e non soltanto assenza di malattia o
di infermità - è un fondamentale diritto umano e che il raggiungimento
del più alto livello possibile di salute è uno dei più importanti
obiettivi sociali nel mondo, la cui realizzazione richiede l’azione di
molti altri settori sociali ed economici oltre al settore sanitario.”
Negli sportelli “Insieme per il Lavoro”
hanno operato psicologi abilitati frequentanti scuole di
specializzazione post – lauream in psicoterapia, supervisionati da
psicoterapeuti in organico presso la struttura sanitaria. Gli sportelli
si sono collocati nella rete degli interventi a sostegno delle persone
coinvolte dalla crisi produttiva ed economica, consentendo un accesso
facile e gratuito ad un ascolto qualificato in sedi non stigmatizzanti
per intercettare il disagio, leggere le necessità ed indirizzare alla
cura dove si rilevava la necessità. L’obiettivo degli sportelli è di
aiutare le persone che vivono una situazione di “crisi” lavorativa
(perdita o sospensione dal lavoro, disoccupazione, difficoltà nel
trovare un’occupazione), nel recupero delle ferite all’autostima e nel
riorientamento della loro vita, indirizzando qualora vi sia una
necessità a cure più approfondite e specifiche, nel caso in cui il
disagio si esprima in maniera più importante e sintomatica.
Gli interventi degli psicologi dello
sportello si sono diversificati a seconda delle caratteristiche
individuali, culturali e rispetto alla tipologia dello stimolo scatenate
(perdita, sospensione dal lavoro, condizioni di lavoro stressanti) e
alla diversità modalità con il quale i soggetti si sono confrontati con
gli eventi che hanno partecipato all’avaria del sistema.
Gli interventi di sostegno psicologico
messi in atto dagli psicologi dello sportello “Insieme per il lavoro”
hanno mantenuto l’attenzione sul concetto di Coping (dall'inglese "to
cope", ovvero "far fronte", "affrontare"), facendo leva sulle diverse
risorse e motivazioni presenti nei soggetti, nel sistema familiare e nei
servizi del territorio, sociali e sanitari, nel quale lo sportello si
inserisce in un’ottica di rete di protezione. Risorse necessarie per
fronteggiare gradualmente e positivamente il blocco del sistema verso
una nuova condizione di equilibrio e stabilità.
Gli sportelli “Insieme per il Lavoro” si
sono integrati nel territorio con altri servizi, enti e organizzazioni
(Centri per l’impiego, Servizi comunali, Formazione professionale,
Agenzie per il Lavoro) inseriti in una rete di iniziative con obiettivi
ad ampio spettro (problemi connessi a sistemi complessi richiedono
modelli di lettura e di risposta complessi). Intendendo con ciò alludere
all’entrare in un processo sinergico con tutti i servizi correlati alle
politiche del lavoro per favorire la mobilitazione e la canalizzazione
di energie psichiche individuali e collettive in una direzione
propositiva, costruttiva e di autotutela del soggetto vulnerabile ai
fattori di rischio di questa nuova condizione sociale che è la crisi
lavorativa.
Questi progetti hanno determinato un
confronto diretto con un numero significativo di persone in stato di
inattività, questo ha permesso di rilevare come questa condizione abbia
una rilevanza come fattore di rischio nel disagio psicologico. Inoltre,
il perdurare della ricerca di un’occupazione, se si protrae a lungo
senza successo, ingenera un circolo vizioso, una situazione di fatica e
sfiducia, scoraggiante al punto di far diminuire totalmente la voglia di
effettuare tale ricerca fino a voler desistere del tutto. Si insidia
una condizione di “sconforto” e inattività, una persona disponibile a
lavorare ma che non cerca lavoro perché, dopo diversi fallimenti, è
convinto di non poterlo trovare. Questa inattività diventa quindi un
tempo diluito che non trova una via di uscita, un lungo periodo avverso
che può influire come importante fattore di rischio sulla salute
psichica del soggetto.
Dall’altro canto si è potuto osservare
come queste attività di prevenzione e supporto nonostante non siano
capillari nel territorio italiano e siano sperimentali e quindi limitati
nel tempo, possono portare, là dove si attivano, una dimensione
protettiva e di sensibilizzazione della salute psichica. Questi progetti
attraverso interventi multifattoriali di natura economica,
orientativa-formativa e di supporto psicologico cercano di frapporsi a
quegli aspetti negativi, di rischio che l’evento perdita
dell’occupazione e quello che ne consegue possono determinare.
Attività di prevenzione e supporto che
possono intervenire nel proteggere da quei fattori di rischio descritti
da Warr (1988) che la condizione di disoccupazione può causare:
-
incertezza per il futuro, difficoltà ad andare a vanti e a progettare la propria vita;
-
maggior fatica nel prendere decisioni impegnative, soprattutto quelle più importanti;
-
più esposizione ad eventi di vita potenzialmente minacciosi;
-
diminuzione dell’autostima e del prestigio sociale;
-
difficoltà a gestire il tempo libero, e come occuparlo a proprio vantaggio.
Questi interventi sono necessari nel fronteggiare la complessità di
una situazione che mette “in crisi” più dimensioni dell’individuo con
l’obiettivo di favorire e attivare la resilienza e le abilità di coping.
Un individuo duramente messo alla prova da un Mercato del lavoro
coinvolto in una forte “crisi depressiva”. Una società che parafrasando
Winnicott risulta essere non sufficientemente buona e accudente, ma
eccessivamente selettiva e poco attenta ai bisogni
dei suoi “figli”. Un tempo che rende le persone in cerca di
un’occupazione insicure, con aspettative fallimentari e di esclusione,
sempre meno motivate ad esplorare l’ambiente e a ricercare nuove risorse
da mettere in gioco.
Fonte: www.medicitalia.it