Ancora
oggi, troviamo spesso operatori sanitari che non conoscono abbastanza
il lavoro che si fa quotidianamente nelle cure palliative, e che non
sanno quanto queste cure possono essere efficaci e preziose per le
persone con malattia in fase avanzata e per i loro familiari. Anche in
molti ospedali non è ancora presente la cultura delle cure palliative, e
non si prende in considerazione la necessità di indirizzare i pazienti e
le famiglie verso questo servizio, peraltro garantito dalla sanità
pubblica.
In numerose aziende ospedaliere, al contrario, predomina
tuttora un protocollo fatto di terapie invasive che vengono applicate
fino all’ultimo giorno, con l’idea di dover combattere in qualche modo
la malattia, anche quando si dà per scontato che quella terapia non
potrà garantire nessuna guarigione. Invece, per i palliativisti, “quando non c’è più niente da fare c’è ancora tanto da fare”:
è un motto che rovescia la visione della malattia come unico oggetto
della medicina, per rimettere invece al centro dell’attenzione la
persona e il suo bisogno di cure.Che cosa sono quindi le cure palliative, e quale supporto viene offerto o potrebbe essere offerto dallo psicologo e dallo psicoterapeuta alla persona con malattia, alla sua famiglia e all’operatore?
Il condizionale è doveroso, per via delle richieste diverse dei
differenti enti di cure palliative, e per la scarsità delle risorse
umane sul campo.
La risposta sarà più chiara ripercorrendo a grandi linee l’evoluzione di questo ambito sanitario.
Le cure palliative nascono in Inghilterra negli anni ‘60 grazie
all’intuito di Cicely Saunders, un’infermiera diventata successivamente
anche medico che coltivò la cultura degli hospice (strutture
residenziali sanitarie).
In Italia le cure palliative arrivano negli anni ’80 con l’assistenza
domiciliare ai malati attraverso associazioni di volontariato, e
vengono ufficializzate nel ’99 con la nascita degli hospice.
Le cure palliative sono un approccio che migliora la qualità della
vita dei malati e delle famiglie che si confrontano con i problemi
associati a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il
sollievo dalla sofferenza, per mezzo dell’identificazione precoce, della
approfondita valutazione e del trattamento del dolore e di altri
problemi fisici, psicosociali, spirituali (dichiarazione dell’OMS). Le
cure palliative quindi si occupano della persona con malattia in fase
avanzata in una visione olistica, attraverso un’équipe interdisciplinare
che ha come obiettivo quello di dare dignità sia alla persona sia alla
sua famiglia. Gli operatori che fanno parte dell’équipe utilizzano le
terapie specifiche della loro professione, associate però a una
particolare attenzione alla comunicazione e alla relazione sia nei
confronti della persona con malattia, sia dei suoi familiari. In questo
scenario le vere protagoniste sono le emozioni, e la psicologia subentra
in modo dominante. Angoscia di vita e di morte, sia del paziente che
del familiare (ma spesso anche dell’operatore) sono tematiche quotidiane
che vengono affrontate nelle cure palliative. In tutto questo lo
psicologo e lo psicoterapeuta potrebbero aiutare maggiormente i soggetti
di cura: paziente, famiglia, operatore. Ad oggi dobbiamo continuare a
usare il condizionale, per via delle poche risorse presenti sul campo
(in media 1-2 psicologi per ogni ente che tratta le cure palliative,
sono pochissime le realtà operative che hanno 4 figure nell’area
psicologica).
La legge del 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (Gazzetta Ufficiale n. 38 15/03/2010) rafforza la figura dello psicologo.
Nell’articolo 5 punto 2 vengono individuate le figure professionali
nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore con
particolare riferimento ai medici di diverse discipline, agli
infermieri, agli psicologi…….
Art 2b
Terapia del dolore: insieme di interventi diagnostici e terapeutici
volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e
appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche…….
Art.5 punto 1
…nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, al fine
di promuovere l’attivazione e l’integrazione delle due reti a livello
regionale e nazionale e la loro uniformità su tutto il territorio nazionale.
Art 5 punto 2
…sono individuate le figure professionali con specifiche competenze
ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del
dolore, anche per l’età pediatrica, con particolare riferimento ai
medici…..agli psicologi
Art5 punto 4
…definire un sistema tariffario di riferimento per le attività
erogate dalla rete della terapia del dolore per permettere il
superamento delle difformità attualmente presenti a livello
interregionale e per garantire un’omogenea erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
Questi punti della legge 38 danno un enorme contributo al ruolo dello psicologo, che diventa una figura fondamentale dell’équipe, e possono favorire l’incremento del numero dei colleghi che operano in questo settore.
Inoltre la legge ci facilita il lavoro, in quanto non si parla più
solo di paziente terminale ma in fase avanzata: teoricamente dovremmo
quindi avere maggior tempo da dedicare alla persona, tempo essenziale
per poter applicare meglio e in maggior numero gli strumenti disponibili
in psicologia. Da un panorama nazionale si riscontra che lo psicologo
dà assistenza al paziente, al familiare e all’operatore. Al paziente
vengono fatti, ad esempio, colloqui di sostegno, di accoglienza, di
valutazione, prese in carico (la modalità operativa dello psicologo
dipende anche dalla realtà dell’Ente di appartenenza). Inoltre vengono
attuate psicoterapie come quella ipnotica, che da circa dieci anni
continua a dare risultati, soggettivi da parte del paziente e oggettivi
da parte dell’équipe, sul controllo sintomatologico (dolore, dispnea…)
delle malattie in fase avanzata. Un’altra innovazione di particolare
rilevanza per lo psicologo, nelle cure palliative, è la figura di
supervisore d’équipe (sono ancora pochissime le figure presenti a
livello nazionale), decisivo per prevenire sindromi di burn-out negli
operatori. In alcuni hospice il supervisore applica i gruppi Balint e
colloqui individuali di sostegno per gli operatori. Nella categoria
degli operatori è molto importante e presente il volontario: una figura
che attraverso la relazione sostiene sia il paziente e sia la famiglia,
esponendosi a sua volta al rischio di burn-out. Di conseguenza, è
essenziale anche per lui l’attenzione dello psicologo.
Per alcuni casi clinici lo psicologo assume le sembianze di regista nell’équipe,
dando consigli comportamentali agli operatori su come relazionarsi o
comunicare con quel paziente o familiare. Inoltre la nostra figura
viene ricercata per dare supporto ai pazienti, e ai loro familiari, che
presentano patologie che continuano a essere prese in considerazione
dalle cure palliative come le malattie neurodegenerative, ad esempio le
demenze e la SLA.
La fase avanzata di malattia e non solo la terminalità aiuta lo psicologo a poter mettere in gioco strumenti come la neuropsicologia, per capire meglio il livello di funzionamento cognitivo della persona e come potenziare le risorse ancora presenti.
Malattie neurologiche come la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica),
che rientra nella categoria delle malattie rare, sono patologie nuove
nelle cure palliative in quanto queste si sono sempre occupate
maggiormente dell’oncologia. Oggi ci sono ancora degli hospice che
continuano a dare supporto solo alle persone con malattie oncologiche.
Le cure palliative dovrebbero essere prese in considerazione per
qualsiasi patologia. Si continua a utilizzare il condizionale proprio
perché si rilevano, in uno scenario nazionale, pochi hospice che
prendono in carico varie patologie, e ancora meno quelli che si dedicano
ai pazienti con malattie infettive in fase avanzata (stiamo parlando
soprattutto dei pazienti con AIDS). Negli ultimi anni anche il campo
della pediatria sta prendendo piede nelle cure palliative, con équipe
specializzate e hospice dediti ai pazienti pediatrici e alle loro
famiglie.
Lo psicologo, inoltre, dà un supporto al familiare anche per l’elaborazione del lutto.
Una figura che potrebbe essere importante per una buona qualità
assistenziale è lo psicologo del lavoro, che raramente viene nominato
nelle cure palliative. I colloqui di selezione ben strutturati sia del
personale (operatori sanitari e non), sia del pubblico discente nel
campo formativo, darebbero una maggiore garanzia all’Ente ma anche allo
stesso paziente. Avere operatori non solo competenti ma anche con una
sana motivazione e un buon equilibrio psicofisico sono determinanti per
raggiungere ottimi livelli qualitativi assistenziali, e una miglior
tutela del malato.
Molte delle attività che vengono svolte soprattutto dallo
psicoterapeuta attirano l’interesse della categoria medica, che mostra
maggiore disponibilità a collaborare a stretto contatto con la nostra
figura professionale. Come è stato già accennato, la psicoterapia
ipnotica, ad esempio, viene presa in considerazione come una terapia
complementare a quella farmacologica per il controllo del dolore.
La legge 38 prende in considerazione anche la terapia del dolore, e
pure in questo settore le figure dello psicologo e dello psicoterapeuta
sono importanti, sia per le tecniche psicologiche che possono mettere in
campo per il controllo del dolore, sia per aiutare il paziente a non
soccombere al dolore psichico che nasce, nella forma di angoscia di
vita, dai problemi esistenziali delle persone che provano un dolore
cronico. Nella terapia del dolore è importante l’affiancamento dello
psicologo al medico, poiché dagli studi effettuati e da statistiche che
si ritrovano in libri come il Libro Bianco della NOPAIN Onlus
(Associazione Terapia del Dolore – Niguarda, Milano) si riscontra
un’alta percentuale di persone con dolore cronico accompagnato da
depressione o problemi psicologici in atto: presente una probabile
concausa del sintomo cronico, diventato oramai malattia, e di
problematiche psicologiche.
Per quanto riguarda la formazione, nell’ambito degli attuali corsi di
laurea non esiste un orientamento specifico di cure palliative.
L’università sta comunque aprendo le porte, attraverso i Master, agli
psicologi che sono interessati alle cure palliative. A tal
proposito sono stati recentemente pubblicati i bandi del Master di II
livello di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’Università degli
Studi di Roma-Sapienza in collaborazione con Antea (associazione di cure
palliative che opera da 26 anni) e dell’Università di Bologna con
l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa.
La figura dello psicologo nelle cure palliative è importante anche
per la formazione e preparazione per gli operatori su tematiche come la
comunicazione e la relazione, importanti per attuare una medicina umana.
Come comunicare una diagnosi e/o una prognosi infausta, come
relazionarsi con il paziente e il familiare, come elaborare le proprie
emozioni, sono alcuni esempi di tematiche che gli operatori devono
affrontare quotidianamente. Una buona formazione e una stretta
collaborazione dello psicologo esperto porta a un miglioramento del
lavoro degli operatori e garantisce una dignità al paziente e alla
famiglia.
Da non sottovalutare infine il campo della ricerca, che verrà presa
sempre più in considerazione grazie anche alla volontà degli psicologi
che già lavorano nelle cure palliative e all’apertura delle università
in questo campo. I Comitati di Bioetica che supervisionano le ricerche
possono aiutare a indirizzare sempre più l’operato dello psicologo verso
un criterio obiettivo, accreditando maggiormente questa figura e
garantendo una maggior tutela e qualità di vita del paziente e della sua
famiglia.