Allarme degli esperti: i ragazzi non usano
preservativi. Gli adolescenti di oggi non hanno vissuto gli anni
dell'emergenza e non vedono i rischi
NEW YORK - Nel
paradosso della vittoria si nasconde il rischio della sconfitta, al
tempo in cui finalmente la comunità scientifica può dire di aver battuto
o comunque messo sotto controllo l'Aids arrivano numeri che raccontano
un mondo alla rovescia: i contagiati crescono a ritmi vertiginosi tra i
giovani. L'allarme parte dagli Stati Uniti, ma è una tendenza globale,
tocca Canada, Australia, Francia, Inghilterra, Olanda e in Cina i
ricercatori parlano addirittura "di un'epidemia tra gli studenti".
Negli Usa la comunità più colpita è quella dei gay sotto i 25 anni che vede il virus in ripresa a ritmi del 22% rispetto alle ultime rilevazioni ufficiali di 12 mesi fa: tra gli afroamericani si arriva a quota 48%. Ma anche i dati sui ragazzi etero preoccupano: "Non ci sono statistiche aggiornate attendibili, ma alcuni studi indicano un aumento addirittura superiore al 20%": spiega John Schneider dell'Università di Chicago e poi aggiunge: "Vedo sempre più spesso adolescenti tra i 13 e i 16 anni contagiati".
Quella in corso è una vera e proprio controrivoluzione sessuale: con il virus ai suoi minimi storici e ormai messo sotto controllo dalle cure farmacologiche, i giovani di oggi sono la prima generazione che cresce senza l'incubo del contagio. Finita l'emergenza, le campagne di prevenzione si attenuano, i fiocchetti rossi non brillano più sui vestiti delle star, molte storiche associazioni devono chiudere per mancanza di fondi. I "millennials", quelli che hanno tra i 18 e i 30 anni, non hanno mai visto un amico morire in un letto d'ospedale dopo mesi di sofferenza, non hanno memoria delle immense coperte colorate con i nomi delle vittime, non hanno pianto guardando il film Philadelphia e dunque non pensano di correre un pericolo tutte le volte che fanno sesso non protetto. Oltre il 20% ammette candidamente di non usare il preservativo, ma nei sondaggi ufficiosi la cifra triplica. Uno su tre, anche tra gli omosessuali adulti, non ha mai fatto un test Hiv e di sicuro non lo ha fatto negli ultimi 12 mesi: "In queste condizioni è come giocare alla roulette russa: mettono senza pensarci in pericolo la loro vita", dice al New York Times Thomas Frieden che dirige il Centers for Disease Control and Prevention, l'ente federale che vigila sulla sanità pubblica.
Oltre all'ignoranza, pesa anche il cambio di percezione della malattia, vissuta ormai con un disturbo cronico, poco più di un fastidioso raffreddore con cui si può convivere prendendo qualche farmaco: "Molti sono convinti che basta prendere antivirali per non ammalarsi e dunque si credono immuni dal contagio: ma non è così": dice ancora Frieden. Ogni anno ci sono 50mila pazienti e nonostante gli investimenti dell'amministrazione Obama non si riesce ad abbattere quella soglia proprio per i nuovi casi. Così i programmi federali e le Ong si concentrano adesso sui giovani, da New York a Chicago, da San Francisco a Washington nascono applicazioni per gli smartphone e le campagne di pubblicità progresso inondano i social network, i furgoni colorati dei volontari si fermano nel fine settimana davanti a bar e locali notturni: consegnano preservativi e invogliano a fare subito l'esame. Nei campus universitari si lancia "la giornata del test" provando a trasformare l'appuntamento in una sorta di party collettivo, si organizzano spettacoli teatrali e concerti a tema.
"Ma è difficile, il problema è proprio l'educazione sessuale. Da noi si concentra sempre di più solo su astinenza e prevenzione della gravidanza. Quasi nessuno si azzarda a parlare di Aids, figuriamoci di omosessualità" spiega a Usa Today lo psicologo Robert Garafalo. Poi conclude amaro: "Viviamo dentro una contraddizione: mai come ora i nostri ragazzi sono bombardati da messaggi sessuali espliciti, modificano le loro abitudini, hanno rapporti sempre più precoci, cambiano spesso partner e affrontano tutte queste esperienze nella più totale ignoranza".
Negli Usa la comunità più colpita è quella dei gay sotto i 25 anni che vede il virus in ripresa a ritmi del 22% rispetto alle ultime rilevazioni ufficiali di 12 mesi fa: tra gli afroamericani si arriva a quota 48%. Ma anche i dati sui ragazzi etero preoccupano: "Non ci sono statistiche aggiornate attendibili, ma alcuni studi indicano un aumento addirittura superiore al 20%": spiega John Schneider dell'Università di Chicago e poi aggiunge: "Vedo sempre più spesso adolescenti tra i 13 e i 16 anni contagiati".
Quella in corso è una vera e proprio controrivoluzione sessuale: con il virus ai suoi minimi storici e ormai messo sotto controllo dalle cure farmacologiche, i giovani di oggi sono la prima generazione che cresce senza l'incubo del contagio. Finita l'emergenza, le campagne di prevenzione si attenuano, i fiocchetti rossi non brillano più sui vestiti delle star, molte storiche associazioni devono chiudere per mancanza di fondi. I "millennials", quelli che hanno tra i 18 e i 30 anni, non hanno mai visto un amico morire in un letto d'ospedale dopo mesi di sofferenza, non hanno memoria delle immense coperte colorate con i nomi delle vittime, non hanno pianto guardando il film Philadelphia e dunque non pensano di correre un pericolo tutte le volte che fanno sesso non protetto. Oltre il 20% ammette candidamente di non usare il preservativo, ma nei sondaggi ufficiosi la cifra triplica. Uno su tre, anche tra gli omosessuali adulti, non ha mai fatto un test Hiv e di sicuro non lo ha fatto negli ultimi 12 mesi: "In queste condizioni è come giocare alla roulette russa: mettono senza pensarci in pericolo la loro vita", dice al New York Times Thomas Frieden che dirige il Centers for Disease Control and Prevention, l'ente federale che vigila sulla sanità pubblica.
Oltre all'ignoranza, pesa anche il cambio di percezione della malattia, vissuta ormai con un disturbo cronico, poco più di un fastidioso raffreddore con cui si può convivere prendendo qualche farmaco: "Molti sono convinti che basta prendere antivirali per non ammalarsi e dunque si credono immuni dal contagio: ma non è così": dice ancora Frieden. Ogni anno ci sono 50mila pazienti e nonostante gli investimenti dell'amministrazione Obama non si riesce ad abbattere quella soglia proprio per i nuovi casi. Così i programmi federali e le Ong si concentrano adesso sui giovani, da New York a Chicago, da San Francisco a Washington nascono applicazioni per gli smartphone e le campagne di pubblicità progresso inondano i social network, i furgoni colorati dei volontari si fermano nel fine settimana davanti a bar e locali notturni: consegnano preservativi e invogliano a fare subito l'esame. Nei campus universitari si lancia "la giornata del test" provando a trasformare l'appuntamento in una sorta di party collettivo, si organizzano spettacoli teatrali e concerti a tema.
"Ma è difficile, il problema è proprio l'educazione sessuale. Da noi si concentra sempre di più solo su astinenza e prevenzione della gravidanza. Quasi nessuno si azzarda a parlare di Aids, figuriamoci di omosessualità" spiega a Usa Today lo psicologo Robert Garafalo. Poi conclude amaro: "Viviamo dentro una contraddizione: mai come ora i nostri ragazzi sono bombardati da messaggi sessuali espliciti, modificano le loro abitudini, hanno rapporti sempre più precoci, cambiano spesso partner e affrontano tutte queste esperienze nella più totale ignoranza".
Fonte: www.repubblica.it