Le lavoratrici sessuali si sono ispirati al lavoro di una giudice che dimostrò come fosse possibile per le prostitute registrare una posizione come libere professioniste.
Dal 6 di novembre, Sealeer è una in più tra le migliaia di cooperative che esistono in Spagna, ma con una peculiarità: le sue socie sono prostitute e l’oggetto sociale include l’offerta di sesso. Undici sex workers a Ibiza sono riuscite a constituire la prima cooperativa di lavoro associato di queste caratteristiche. Le sue integranti versano già i contributi alla Previdenza Sociale e pagano le corrispettive tasse. La loro iniziativa, che ha ottenuto il via libera dal Assessorato di Economia e Commercio delle Isole Baleari, apre le porte alle altre prostitute per poter pagare i contributi attraverso questa formula.
“Cominciammo le gestioni burocratiche più di un anno e mezzo fa. Un amico lesse il lavoro di Gloria Poyatos e questo ci servì di ispirazione”, spiega María José López Armesto, portavoce della cooperativa. Gloria Poyatos è la giudice decana di Lanzarote e nel suo lavoro dimostrò che, malgrado la a-legalità in cui si muove la prostituzione, le sex workers potevano in pratica aprire una posizione come lavoratrici autonome.
A dispetto di ciò, la prima volta che provarono a registrare la cooperativa la richiesta fu rifiutata. L’epigrafe sotto la quale volevano iscriversi includeva la parole “professioniste del sesso”. “L’assessorato considerava che le prestazioni sessuali erano un’attività non regolamentata e che pertanto non poteva essere oggetto di una cooperativa”, sottolinea la giudice Gloria Poyatos, che ha seguito il processo da vicino. Le lavoratrici fecero ricorso alla decisione rivolgendo il loro ricorso in varie fasi e ottenendo varie sentenze, sia della Corte Suprema che della giustizia europea. Ricorsi vinti e dunque sono riuscite a realizzare l’iscrizione della cooperativa.
Poyatos afferma che quando la prostituzione viene esercitata liberamente da persone adulte per il loro proprio profitto non deve avere ostacoli per essere coperta dalla Previdenza Sociale così come tutelato dall’articolo 38 della Costituzione, che difende il diritto alla libera impresa. “La prostituzione non ha una normativa concreta, ma tutto ciò che non è vietato ha accesso alla Previdenza Sociale” difende la giudice.
La decisione del Assessorato apre la porta perché possano formarsi altre cooperative simili e, pertanto, a che molte sex worker possano pagare i contributi alla Previdenza Sociale ed avere diritti lavorativi, pur non essendoci un regolamentazione della prostituzione. La competenza per concedere la licenza è delle Comunità Autonome (corrispettivo delle Regioni in Italia, ndt) per cui, ciò nonostante, il criterio potrebbe variare da un luogo a un altro.
Legalizzare o no
Il dibattito di fondo non è da sottovalutare: se la prostituzione deve o meno essere un’attività regolarizzata, e se questa formula possa essere sfruttata dai richiedenti. Per María José López, membro della cooperativa, l’iniziativa cerca di dare dignità alla situazione delle lavoratrici. “Sorveglieremo perché non ci siano situazioni di coazione. Noi vogliamo soltanto ottenere i nostri diritti e crescere il più possibile”, dice.
“Si trovano cento cinesi chiusi in una casa obbligati a lavorare dodici ore al giorno e dormire tutti insieme e non per questo si vieta il lavoro in generale. Per questo ci sono la Polizia e l’ispezioni, per perseguire i delitti che vengono commessi. Lo sfruttamento ha luogo principalmente per la dipendenza economica, se sono in regola potranno aver accesso alle proprie risorse. La formula cooperativa mira a unire gli sforzi di un gruppo di sex workers per autogestirsi e porre le proprie condizioni ai clienti”, afferma la giudice Gloria Poyatos.
Le undici socie stanno già versando i contributi e hanno sul tavolo quaranta richieste in attesa di risposta. “Accettiamo tutti i profili, chiediamo soltanto che siano maggiorenni, non abbiamo incapacità mentali, che attuino liberamente e non siano costrette”, assicura la portavoce di Sealeer. López Armesto spiega anche che le hanno chiamate da altri punti della Penisola: “Ci chiamano proprietari dei night club che vogliono mettere in regola le ragazze”. Oltre alle lavoratrici, la cooperativa ha vari soci, con voce ma senza voto, “ gente che ha interesse a partecipare e ci appoggia”.