I risultati emergono dalla
relazione presentata in Senato dalla Commissione parlamentare
d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio
Marino. Dal 2008 al 2010, sono 1400 le persone sottoposte a “Tec”,
terapia elettro convulsivante. “Non abbiamo giudicato il merito,però ci
siamo resi conto di situazioni in cui la tecnica viene utilizzata subito
senza passare da previa valutazione farmacologica”
L’elettroshock è ancora largamente praticato in Italia. Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, durante la presentazione in Senato della relazione finale. A ricorrere all’elettroshock sono “91 strutture ospedaliere” dell’intero territorio nazionale, “14 solo in Sicilia”, ha rivelato Marino. Dal 2008 al 2010, il triennio preso in esame dalla Commissione d’inchiesta, sono state 1400 le persone sottoposte a “Tec”, terapia elettro convulsivante,
la maniera più articolata in cui viene chiamata oggi la pratica di
applicare elettrodi in testa. Sulla base delle indicazioni del ministero
della Salute, la Commissione ha reso note le strutture ospedaliere sia
pubbliche che private che ne fanno uso. Colpiscono, in particolare, i
dati dell’Ospedale civile di Montichiari, in provincia
di Brescia (108 trattamenti nel 2008, 155 nel 2009 e 158 nel 2010),
quelli dell’Azienda ospedaliero-universitaria e Policlinico di Pisa (106 Tec nel 2008 e 89 e 68 nei due anni successivi), quelli del Polo ospedaliero San Martino di Oristano, dove nel 2008 si è ricorso 105 volte alla Tec, mentre 48 e 42 sono stati i casi nel biennio successivo.
“Non abbiamo voluto dare un giudizio sul merito e sulla appropriatezza
della terapia – ha aggiunto il presidente Marino – però ci siamo resi
conto di situazioni, viste personalmente, in cui l’elettroshock viene
utilizzato come terapia di prima linea”. Secondo la Commissione, dunque, il paziente non passa attraverso le preliminari e regolamentate terapie psicofarmacologiche
ma direttamente attraverso l’elettroshock. “E’ una pratica sbagliata e
da correggere – ha affermato Marino – tutti i componenti la Commissione
sono rimasti sorpresi”.
Preso a prestito dai mattatoi romani dove
era utilizzato sul finire degli anni ’30 per stordire i maiali, le
risultanze della Commissione parlamentare d’inchiesta rappresentano come
l’uso (e l’abuso) dell’elettroshock non sia scomparso né tantomeno
residuale, nonostante la celebre riforma di Franco Basaglia.
La legge che porta il suo nome, la 180/78 – che ha mutato alla radice
il rapporto medico – paziente e quello tra società e malattia – ha
deciso la chiusura dei famigerati manicomi, restituendo
dignità e libertà a migliaia di persone, fino ad allora segretate e
reiette. Chi ha vissuto quella condizione ne ha dato dolorose
testimonianze, tra le quali quella della poetessa Alda Merini
che riteneva “atroce” l’elettroshock. A quanti sostenevano la “bontà”
degli elettrodi, Basaglia era solito rispondere: “E’ come dare una botta
ad una radio rotta: una volta su dieci riprende a funzionare. Nove
volte su dieci si ottengono danni peggiori. Ma anche in quella singola
volta in cui la radio si aggiusta non sappiamo il perché”.
Nel luglio scorso, le parlamentari Delia Murer, Luisa Bossa e Maria Antonietta Farina Coscioni hanno indirizzato un’interrogazione al ministro della Salute Renato Balduzzi, esprimendo forti riserve sulla “pratica di spegnimento” come viene definito l’elettroshock dai medici di “Psichiatria democratica”,
il movimento fondato dallo stesso Basaglia. Una pratica molto
controversa: “un trattamento, non una terapia – dicono – approssimativo,
ascientifico, empirico, utilizzato ideologicamente per far credere in
una pronta risoluzione dei sintomi”. Tesi confermate dal Comitato nazionale per la bioetica nel 1995
– “la psichiatria dispone di ben altri mezzi per alleviare la
sofferenza mentale” – , da studi pubblicati nel 2005 sulla prestigiosa
British Medical Journal e dalla più recente letteratura scientifica. I
professori Richard Bentall e Jhon Read ritengono la “Tec” inutile, se
non perfino dannosa, specie per la memoria. In tema di salute mentale,
esistono in Italia stringenti linee guida che limitano e regolano
l’elettroshock. La circolare 15 febbraio nel 1999, a firma dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi, ha stabilito che si debba far ricorso alla Tec solo a seguito di ripetute terapie psicofarmacologiche.
Nello specifico, la circolare prevede (al punto 5) il monitoraggio, la
sorveglianza e la valutazione delle applicazioni terapeutiche, che si
devono tradurre nel ricorso alla peer rewiev (revisione tra
professionisti alla pari) e ad una Commissione di medici esterni alla
struttura specialistica dove venga effettuato “il trattamento”. La Tec
“non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve
necessariamente essere considerata all’interno di un programma
terapeutico personalizzato, integrato con altri interventi”, recita
ancora la circolare. Le valutazioni cliniche sul paziente devono quanto
meno precedere, accompagnare e seguire ogni seduta. A parere di Marino,
“la questione deve essere affrontata a livello di governo con cogenti
modalità d’uso”.
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it