Che
gli atei siano malvisti dall’opinione pubblica non è difficile da
credere; in un ipotetico indice di gradevolezza, tale categoria
risulterebbe in fondo alla lista.
Molti
studi si muovono in questa direzione; ad esempio la ricerca del
Professor Edgell dell’University of Minnesota dimostra che gli
Americani condividono meno la visione della società che hanno le
persone atee, rispetto ad altri gruppi quali, ad esempio, i
musulmani, i cristiani, gli omosessuali, gli immigrati. Questo anche
in seguito ai fatti dell’11 Settembre, che avrebbero fatto
piuttosto pensare ad una generica tendenza da parte degli americani a
disapprovare il pensiero delle persone musulmane.
In
uno studio pubblicato da Gervais nel 2011, si richiede ad un campione
di 105 persone di leggere un testo in cui si descrivono due azioni
immorali (urtare una macchina in un parcheggio senza lasciare il
proprio numero e rubare i soldi da un portafoglio trovato gettandolo
in seguito nella spazzatura) commesse da Richard, un personaggio
immaginario; si chiede dunque ai soggetti di avanzare delle ipotesi
sulla categoria di appartenenza di tale personaggio: insegnante,
oppure insegnante e cristiano, insegnante e musulmano, insegnante e
stupratore o, infine, insegnante ed ateo.
Ebbene,
la maggior parte dei soggetti ha scelto quest’ultima ipotesi
ovvero, in altre parole, è più facile che una persona si “comporti
male” quando sia atea; è interessante notare che, nello specifico,
è anche più probabile che una persona commetta azioni immorali
quando si tratti di un ateo, piuttosto che quando si tratti di un
violentatore.
Quanto detto finora, ci porta a concludere che la maggior parte delle persone crede che il pensiero ateo sia socialmente incompatibile e più immorale rispetto a quello di altre minoranze, stupratori compresi.
Questa
credenza risulta insostenibile alla luce di due osservazioni. Le
statistiche, innanzitutto. Ammesso che consideriamo la criminalità
come indice di immoralità, gli atei detenuti nelle prigioni
americane sono solo lo 0,07%. In testa alla statistica ci sono
piuttosto Cristiani, Protestanti e Musulmani.
La
seconda osservazione è che, per l’appunto, la definizione del
concetto di moralità risulta essere problematica. I credenti, per
esempio, definiscono il fatto di non avere una fede in sé stesso
immorale. Quindi, secondo questa logica, gli atei sono, a
prescindere, individui immorali.
In
uno studio pubblicato in Settembre 2014, Hoffman dimostra che gli
stessi atti sono ugualmente considerati morali oppure immorali dagli
atei e dai credenti. Il ragionamento, dunque, risulta fallace a causa
dell’ambiguità della definizione stessa del concetto di moralità.
L'idea secondo cui gli atei sarebbero più immorali dei credenti appare allora erronea, come risulta indagando su questa linea sia in termini pratici che teorici.
Si
spera che le persone possano in futuro guardare all’ateismo con una
mente più aperta anche perché, come disse Gervais, se si
eliminassero dalla popolazione americana tutte le persone atee ed
agnostiche, si perderebbe il 93% della popolazione della National
Academy of Sciences, e meno dell’1% degli individui detenuti nelle
prigioni.
Fonte: http://www.stateofmind.it